Perché lo “ius scholae” non funzionerà comunque…

Perché lo “ius scholae” non funzionerà comunque…

di Brigida Miranda

In questi giorni si parla moltissimo del progetto di legge sul cosiddetto “Ius Scholae” che mira a modificare la legge n. 91 del 5 febbraio 1992 in materia di ottenimento della cittadinanza. In maniera piuttosto propagandistica l’area di sinistra sostiene che con tale legge i bambini e i ragazzi di genitori stranieri nati in Italia diverranno italiani con estrema facilità e dunque cesseranno le presunte discriminazioni legate a una diversa cittadinanza. L’area di destra vede diverse correnti di pensiero e si divide tra quelle forze politiche che sostengono che cambiare la legge non sia la priorità e altre che invece vorrebbero migliorarla o emendarla.

Ma cosa dice in realtà questo progetto di legge che tanto sta facendo discutere? Il testo unificato prevede che l’attuale legge sia modificata in tal senso: “il minore straniero nato in Italia o che vi ha fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età che risieda legalmente in Italia e che, ai sensi della normativa vigente, abbia frequentato regolarmente, nel territorio nazionale, per almeno cinque anni, uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale idonei al conseguimento di una qualifica professionale, acquista la cittadinanza italiana”.

Sembrerebbe una sorta di vero e proprio automatismo ma andando avanti con la lettura del testo vediamo che: “La cittadinanza si acquista a seguito di una dichiarazione di volontà in tal senso espressa, entro il compimento della maggiore età dell’interessato, da un genitore legalmente residente in Italia o da chi esercita la responsabilità genitoriale, all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore. Entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, l’interessato può rinunciare alla cittadinanza italiana se in possesso di altra cittadinanza”. E qui cominciano i problemi di non poco conto.

In primo luogo, non esiste nessun automatismo per far sì che il minore nato in Italia da genitori stranieri ottenga la cittadinanza subito. Bisogna passare comunque da una richiesta formulata da uno dei due genitori entro il compimento della maggiore età. Questo perché il minore, in quanto tale, è sotto la tutela dei genitori o di chi ne fa le veci. Ma cosa accade se un genitore è d’accordo nel fare richiesta e un altro no? Cosa succede se uno dei due genitori non vuole che il proprio figlio acquisisca la cittadinanza italiana perché, nel suo Paese di origine, vige una legislazione tale per cui se acquisisci una nuova cittadinanza perdi l’altra? Non comincerebbero forse problemi ancor maggiori, legati alla disgregazione del nucleo familiare del bambino?

Il progetto di legge sembra inoltre dire, in buona sostanza, che al minore gli si dà la cittadinanza ma, nel caso non la volesse più, potrebbe rinunciarvi entro due anni dal raggiungimento della maggiore età. Ma siamo certi che questo meccanismo sia così semplice? E soprattutto, in presenza di tante legislazioni diverse, è davvero automatico che tolta la cittadinanza italiana si riottenga quella di origine? Non andremmo a creare ulteriori, inutili, pesanti procedure burocratiche?

Va tenuto in considerazione inoltre il fatto che moltissime famiglie di origine straniera, pur risiedendo in Italia da anni, da decenni, non hanno mai voluto acquisire la cittadinanza italiana. E questo perché molto spesso entrano in gioco fattori identitari, sociologici, la percezione che non sia una priorità o una necessità, la considerazione che nessun diritto venga negato nel nostro Paese anche se anagraficamente non si è italiani. Se queste persone avessero acquisito la cittadinanza italiana a norma di legge, dimostrando la residenza continuativa sul nostro Paese, i figli da loro nati sarebbero già italiani. Il limite di questo progetto di legge è anche quello di non aver indagato nello specifico tutte le situazioni e le casistiche legate alle scelte della comunità straniera in Italia in senso lato e, soprattutto, se la comunità straniera senta una necessità reale rispetto a questo tema.

I sostenitori dello “ius scholae” o “ius culturae” ribadiscono che, senza questa legge, quasi un milione di bambini e ragazzi subiranno discriminazioni e saranno vittime di disuguaglianze. E questo perché sono costretti a rinnovare ciclicamente il permesso di soggiorno e, in caso di ritardi, non si può partecipare a gite e stage fuori dal Paese, per esempio. Inoltre il sottoporsi al rinnovo di tale permesso potrebbe risultare umiliante; in ambito sportivo verrebbe preclusa la possibilità di praticare sport agonistici, non ci si potrebbe muovere liberamente nell’ambito dell’UE. Una volta diventati maggiorenni, infine, i ragazzi avrebbero solo 12 mesi di tempo per fare richiesta e provvedere alla consegna dei documenti.

Ma allora il problema è la legge o la lungaggine delle procedure burocratiche? Se il problema è il permesso di soggiorno, perché non snellire le procedure per gli studenti? Perché non prevedere un permesso di soggiorno che abbia validità per tutto il ciclo di studi? Se il problema è la burocrazia, perché non intervenire potenziando gli uffici e semplificando il lavoro? Se il problema è che il ragazzo ha solo 12 mesi per presentare domanda, perché semplicemente non allungare i tempi?

Perché non prevedere tempi rapidissimi e certi per gli sportivi figli di stranieri che scelgano di gareggiare per la nazionale italiana?

La legge sullo “ius scholae” non è detto che vada a favorire tutti i minori, indistintamente, perché parte dal presupposto che tutti i genitori siano ligi, diligenti, precisi, puntuali, assolutamente convinti di far diventare italiani i propri figli. Come se non aspettassero altro che la possibilità di fare richiesta di cittadinanza italiana per i loro figli. In moltissimi casi i genitori non l’hanno fatta nemmeno per loro stessi: perché dovrebbero volere la cittadinanza italiana per i propri figli? E quindi, quando manca la richiesta formale di uno dei genitori, cosa resta al minore?  Gli abbiamo semplificato la vita in termini di burocrazia, in termini di permesso di soggiorno agevolato? A voi la riflessione.

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