Persi il 43% dei frutteti in 20 anni, l’allarme di Confagricoltura

Persi il 43% dei frutteti in 20 anni, l’allarme di Confagricoltura

Ferragosto festa del raccolto “amaro”, Confagricoltura Emilia-Romagna: «L’Emilia-Romagna ha perso il 43% dei frutteti in 20 anni passando da 99.438 a 57.559 ettari di superfice coltivata. Chi adesso conferisce pesche, percepisce 10-19 cent/kg a fronte di un costo di produzione medio di 50 cent/kg; chi, causa siccità, ha raccolto solo albicocche piccole da destinare all’industria, porta a casa 4-6 cent/kg ma ne ha già spesi in media 65-75»

Bologna, 16 agosto 2017 – Addio ai frutteti dell’Emilia-Romagna. Ferragosto, la festaistituita dall’imperatore Augusto nel 18 a.C. per celebrare i raccolti, ha lasciato a bocca asciutta i produttori.  Dal 1994 ad oggi, la superficie dedicata alle colture arboree in regione si è pressoché dimezzata passando da 99.438 a 57.559 ettari, ossia l’Emilia-Romagna ha perso quasi il 43% dei frutteti nonostante sia migliorata la produttività per ettaro. In particolare la superficie coltivata a pesche è crollata da 20.988 a 6.106 ettari e quella a nettarine da 17.728 a 8.563; la pericoltura ha cancellato quasi 10.000 ettari di impianti ridimensionando le sue coltivazioni da 30.715 a 20.095 ettari e la melicoltura si è ridotta addirittura da 11.733 a 4.821 (fonte Rapporto Agroalimentare Regione-Unioncamere). «Si parla tanto di politiche ambientali, rimboschimento e realizzazione di aree verdi per ridurre l’emissione in atmosfera di gas clima alteranti (in primis anidride carbonica) e contrastare il cambiamento climatico poi però – osserva il presidente di Confagricoltura Emilia-Romagna, Gianni Tosi – questi bei propositi sembrano svanire quando il disastro diventa doppio e si assiste alla scomparsa di un comparto strategico per l’economia regionale». Il tavolo ortofrutticolo nazionale convocato a settembre dal Mipaaf? «È un primo passo – dichiara il presidente degli imprenditori agricoli – ma agli incontri devono poter partecipare anche le rappresentanze agricole cioè tutti i produttori, non solo quelli organizzati in strutture. Con l’intento di giungere ad una aggregazione piramidale costituita alla base dalla platea di frutticoltori e, sopra, dalle strutture di condizionamento (private e cooperative); all’apice, invece, dovrebbe ergersi un organismo unico deputato alla commercializzazione di ogni specie frutticola, in grado di fare sintesi e portare alla condivisione delle regole produttive-organizzative».

Un Ferragosto, dunque, da dimenticare per i produttori dell’Emilia-Romagna che si trovano a fare i conti con i primi listini, indicativi, riferiti al conferimento del prodotto. Lo scenario non lascia dubbi: le colture arboree stanno cedendo il passo di fronte alla crisi dei prezzi dovuta alla scarsa competitività della frutta italiana rispetto a quella estera e alla maturazione in contemporanea di svariate varietà, accelerata dal clima africano, che ha creato un parziale eccesso di offerta sui mercati. In più, quest’anno, sono lievitati i costi di produzione soprattutto per l’aggravio derivante dal consumo di energia elettrica. «L’irrigazione di soccorso è costata 5 centesimi in più al chilo e non è bastata perché la pianta ha sofferto comunque delle ondate di calore. Così il calibro raccolto è risultato lontano dallo standard valorizzato dal mercato e richiesto dal consumatore. Chi adesso conferisce il prodotto, fa i conti con prezzi che vanno dai 47 ai 52 centesimi/kg per le pesche gialle di eccellente pezzatura, ma non ce ne sono. Infatti la maggior parte dei frutti raccolti si ferma al calibro B e C, con quotazioni dai 10 ai 19 cent al chilo quando i costi di produzione si aggirano in media sui 50 cent/kg (fonte CRPV e Unibo)» spiega il presidente regionale degli imprenditori agricoli. Le albicocche? «Quelle superiori ai 55mm di diametro sono prezzate anche 1.10 euro/kg ma si contano sulle dita di una mano… Molte sono piccole, fuori standard, che possono essere destinate solo all’industria e valgono dai 4-6 cent/kg. Difficile far quadrare il bilancio – sottolinea Tosi – se produrle costa mediamente sui 65-75 centesimi al chilo (fonte CRPV e Unibo)».

Anche il calibro delle pere, soprattutto le varietà precoci, ha risentito delle alte temperature. Solo chi ha potuto disporre di adeguati sistemi irrigui “sopra chioma” o di moderni impianti di “fertirrigazione” che prevedono peraltro grossi investimenti aziendali, ha ottenuto raccolti di buona qualità. Secondo le contrattazioni concluse in campo, rilevate dalle Camere di Commercio locali, la varietà Carmen è quotata dai 65 agli 80 cent/kg; la Santa Maria dai 68 ai 73; la Williams destinata al consumo fresco, con caratteristiche ottimali, dai 50 ai 60 cent/kg (per uso industriale: sciroppo, 35-40 cent; succo: 18-22) e la Conference dai 50 ai 70 cent. I costi di produzione dipendono da diversi fattori (su tutti, qualità e quantità), comunque non vanno mai al di sotto dei 48 centesimi al chilo e nel caso della pera Abate si possono raggiungere persino i 65-70 cent/kg (fonte CRPV e Unibo).

I bilanci in rosso non si fermano qui. Le prime mele raccolte sono mini. «Non va meglio – conclude il presidente di Confagricoltura Emilia-Romagna – neppure per chi produce kiwi(sono 4.405 gli ettari coltivati ad actinidia in regione) e raccoglierà alla fine di ottobre: la varietà più diffusa (Hayward) vive il suo momento clou, che determina l’accrescimento del frutto, proprio nei mesi di giugno e luglio quindi la sua stagione si preannuncia critica».

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