Murales tassati e imposte sulle affissioni: ecco dove sta l’inghippo…

Murales tassati e imposte sulle affissioni: ecco dove sta l’inghippo…

di Brigida Miranda

IMOLA – Sta facendo molto discutere, a Imola, lo strano caso del murale tassato che. secondo l’azienda incaricata dal Comune di riscuotere l’imposta sulle affissioni, rappresenterebbe una forma di “pubblicità occulta”, quindi soggetta a tassazione come una normale insegna. Detto fatto, il conto è salato: ben 35mila euro, visto che quell’opera d’arte ricopre tutto il capannone dell’azienda Cro.Mia di via Serraglio.

Certo è un bel dilemma e le sue radici sono essenzialmente politiche. Quando i Comuni hanno bisogno di fare cassa, si appigliano proprio a tutto. L’imposta sulle affissioni aveva sollevato qualche mese fa un enorme polverone mediatico anche a Bologna dove i commercianti, che improvvisamente si erano visti tassare menù, zerbini, fotografie di panini, l’avevano ribattezzata Delirium tax. 

Ma a Imola il caso è singolare, non esistono precedenti, perché a essere tassato è stato un dipinto sulle pareti di un capannone. Intendiamoci, non un dipinto riportante il nome e le generalità dell’azienda, ma un gigantesco quadro raffigurante animali da circo intenti a verniciare le pareti grigie con tutti i colori dell’arcobaleno. Insomma, per l’azienda che deve riscuotere, quello è un messaggio che indurrebbe all’acquisto di un prodotto. Tutti d’accordo? Macché, visto che il caso è già finito sulla scrivania degli avvocati della Cro.Mia: intanto, in attesa del verdetto, il bell’affresco realizzato da Andrea “Fungo” Pelliconi è stato oscurato con un telo verde.

A noi però corre l’obbligo di farla qualche riflessione. Se non altro perché, in una società dove si tassa praticamente di tutto, dove le aziende sono sempre più schiacciate dalla pressione fiscale, ci si deve interrogare su come un’impresa possa sopravvivere a queste condizioni. In primo luogo si deve considerare che l’azienda avrà certamente ottenuto un permesso dal Comune per realizzare l’opera sul capannone. Perché il Comune non l’ha detto subito che abbellire quelle anonime pareti sarebbe costato 35mila euro di tasse ogni anno? Mistero. In secondo luogo, ammettendo che questo genere di opere sia veramente tassabile, allora si scatenerebbe una caccia ai murales. Bisognerebbe tassare pure le opere realizzate nel sottopasso della stazione nell’ambito della manifestazione RestArt? Perché quelle opere, promuovendo e “vendendo” il brand di Imola, portano indotto alle casse comunali e potenzialmente a società varie, come quella che ha in gestione l’Autodromo o i parcheggi comunali. E qui sta la prima contraddizione.

Per non parlare del regolamento comunale in fatto di affissioni. L’inghippo è bello e buono perché all’art. 11 leggiamo che il “presupposto per l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità è qualsiasi diffusione di: forme di comunicazioni visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile”. Detta così, ci pare che qualsiasi cosa possa essere tassata, pure i murales. Ed è qui che interviene la politica: una legge, per principio, dovrebbe essere chiara, dovrebbe stabilire criteri e parametri precisi cui conformarsi, ridurre il più possibile il margine di interpretazione specie quando si tratta di prelievo di denaro.

E invece a Imola, come a Bologna, come in altre città d’Italia, i regolamenti sulle affissioni si prestano a interpretazioni pressoché infinite a disposizione dell’azienda di riscossione di turno. Già, perché è qui che sta l’altra colpa della politica. Se è vero che a Imola esiste un Ufficio Tributi, tra l’altro gestito in forma associata con altri nove Comuni del Circondario, perché appaltare il servizio di riscossione dell’imposta della pubblicità all’esterno? Forse perché quando a fare la parte della cattiva è l’azienda di riscossione, il Comune ne esce più “pulito”? Perché è di questo che si tratta. Fintanto che il servizio era gestito direttamente dal Comune, fin quando il servizio era in qualche modo sotto il controllo pubblico, una briciola di buon senso la si utilizzava ancora prima di emettere certi tipi di sanzione. Ma se il servizio passa in mani private, appaltato ad aziende che introitano la percentuale sul riscosso, allora sì che si è legittimati a pensare che il buon senso sia stato relegato ai margini dell’azione politica.

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